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A cavallo tra le valli del Tordino e del Vomano, il Comune di Castellalto gode dell'insolito privilegio di avere ben due centri storici, Castellalto (481 m.s. l.m.) e Castelbasso (326 m.s. l.m.), cui si aggiunge il moderno centro di Castelnuovo al Vomano ed un'articolata serie di frazioni montane (Mulano,Feudo, Guzzano, Pianvilla) e sul versante Tordino (S. Lucia, Villa Torre , Villa Zaccheo, Petriccione, Casemolino, Campogrande): un territorio le cui vicende storiche , non più che sfiorate da monumentali e meritoria opere del secolo scorso , sono a tutt'oggi misconosciute , mancando un qualsivoglia lavoro di sintesi indirizzato allo scopo.
Un tentativo di tracciare una storia del nostro paese deve dunque partire da un'indagine "vergine"dalle fonti.
Il reperto più antico di cui abbiamo cognizione è un bronzetto italico di fattura ellenistica, databile al III/II sec. a.C., rinvenuto nel 1987, nei pressi del fiume Tordino a Casemolino.
Si tratta di una statuetta di una decina di centimetri di altezza , raffigurante Ercole, rivestito dalla sola pelle di leone, annodata sotto il collo: forse un dono votivo ad un tempio (il culto di Ercole è in ambito sabellico connesso con la pastorizia e la transumanza) o l'ornamento di un manufatto bronzeo (la statuetta è tronca delle mani e dei piedi e quindi non si può avere un idea esatta della sua consistenza, è una chiara testimonianza di un insedaiamento a Casemolino quantomeno nell'età della prima colonizzazione romana del nostro territorio o anche precedente: il sitoè significativamente caratterizzato dalla presenza di una antica fonte (fonte Isa ,o meglio dell'Isola , come chiariscono documenti settecenteschi).
Il bronzetto, in ogni caso, è ascrivibile alla cultura degli antichi Pretuzi , di ceppo Safino, ovvero Sabino, come si vedrà, che abitavano la zona prima dell'avvento dei Romani. L'Ercole, attualmente depositato presso la Soprintendenza Archeologica di Chieti , è accostabile alla testa bronzea di Giove Ammone , che Pancrazio Palma nel secolo scorso dice che sia stata rinvenuta a Castellalto.
La natura della fittilistica (frammenti di tegole, coppi, anfore, fuseruole da telaio) e la sua diversificata tipologia fanno pensare ad insediamenti di un periodo compreso tra la prima età imperiale (I sec.d.C.) ed il IV-
di particolare rilievo anche ai fini della datazione della villa di S. Pietro , risulta una serie di frammenti di coppi provvisti da Quinto, marchio di fabbrica , rinvenuti in loco dallo scrivente cui la Sovrintendenza archeologica ha consentito lo studio.
I suddetti marchi (presenti almeno in tre tipologie) sembrano tutti riconducibili ad un non meglio noto Cluvio Commodo (parente del Gaio Cluvio Basso, testimoniato, a Tortoreto, da CIL X 608223?), l'imprenditore proprietario della fabbrica dove si producevano i coppi,
o il medesimo possessore del fundus , della villa in cui detti coppi erano stati prodotti e utilizzati ( in tal caso saremo a conoscenza del nome di uno dei possessori della villa rustica posta ai confini di Villa Zaccheo e Villa Torre!). Si tratta di marchi tuttora inediti.
Resti simili a quelli sopra indicati sono stati ritrovati in diversi siti di Casemolino e nei pressi della chiesa di S. Gervasio.
Frammenti di colonne , lastre di travertino, resti di mosaico sono stati rinvenuti a Villa Gianforte e in località S. Stefano.
Tali presenze presuppongono quanto meno una domus, che andrebbe adeguatamente recuperata. L'insediamento, immediatamente a ridosso del borgo medievale di Castellalto , testimonia della frequentazione del luogo in epoca romana.
C'è da supporre che però questa si sovrapponga ad una precedente italica: la peculiare posizione fa pensare agli analoghi castella italici, in particolare sannitici, dell'Abruzzo e del Molise, un'analogia che ritorna negli insediamenti pre romani rilevati nel vicino territorio di Bellante. Che anche qui si trattasse di un ceppo sabino/sabellico, testimonia la pietra iscritta ritrovata, ormai più di un secolo fa, in località Castel S.Andrea nei pressi, per l'appunto, di Bellante: lingua e scrittura sono infatti le medesime di quella gente, che ci ha lasciato le note stele di Penna Sant'Andrea, gente appunto che definisce sé stessa come Sabina. Tardo antico è il fregio floreale già presente nella vecchia chiesa parrocchiale di Villa Torre, e ora incastonato nella moderna facciata della riedificata chiesa.
Di origine ignota (le chiese, ora scomparse, di S.Angelo o di S.Pietro ad Leporerium ha caratteristiche tipologiche che sembrano ricondurlo al V sec. d.C.). Mentre alto medievale (VIII -
Proseguendo verso Castelnuovo Vomano, incontriamo ancora fittilistica d'epoca romana (peraltro del tutto conforme a quella reperibile sul versante del Tordino) a Pianvilla, al Feudo di Montepietro, a Mulano (non lontano dal sito della medioevale chiesa di S.Maria a Melano), a nord del cimitero di Castelbasso, sulle estreme pendici dei rilievi che dominano Castelnuovo. Tali resti ci aiutano a tracciare le linee degli insediamenti romani nel nostro territorio: il sorprendente risultato è che l'attuale abitato (e l'articolarsi delle frazioni) appare ricalcare fedelmente le configurazioni dei più antichi agglomerati (per lo meno dell'età del dominio romano, ma verosimilmente anche precedenti). Una continuità che passa attraverso gli insediamenti medievali , di cui però spesso non resta traccia se non nella toponomastica e nella tradizione orale.
Con il X-
I Feudatari successivi sino agli inizi del 1400 saranno generalmente indicati come De Castro Veteri. Alterne sono le parallele vicende di Castelbasso nel corso dei secoli XIII e XIV periodicamente passato dalla dipendenza benedettina a quella degli Acquaviva (verosimilmente nel 1294 e nel 1494) per pi essere riconsegnato agli abati. Tanto Castrum Vetus Transmundi quanto Castrum Vetum monacistum sono in seguito, a partire quanto meno dal 1481, entrambi dominio degli Acquaviva, duchi di Atri. Il feudo degli Acquaviva è ancora Castellalto nel 1592, quando Castelbasso viene ceduto alla famiglia dei Valignani di Chieti per 7000 ducati (passerà poi ai Ricci di Macerata). Degli Acquaviva è conservato lo stemma su un palazzo al centro di Castellalto (verosimilmente cinquecentesco). E ancora nel catasto onciario del 1749, redatto sotto il Re di Napoli Carlo III di Borbone (il documento è conservato nella sede municipale). Un Acquaviva figura come duca d'Atri padrone.
Il paese poi seguirà le vicende del Regno di Napoli, quello d'Italia e quindi la storia che ha portato alla nostra Repubblica, già dal 1813 "la Comune" di Castellalto (compresa nel circondario di Notaresco), e includeva tanto Castellalto, già di pertinenza dello Stato allodiale di Atri, quanto Castelbasso, già proprietà dei sunnominati signori. Solo nel dopoguerra si sviluppa l'ulteriore centro di Castelnuovo, sul Vomano, dall'antica frazione di San Cipriano, a ridosso del feudo di Castelbasso.